lunedì 18 gennaio 2010

Amore Civile presentato il 15-1 a Milano, La cronaca di Lelio Semeraro


Per essere a favore dell’amore civile e contro l’attuale incivile diritto di famiglia, c’è bisogno di coraggio, forza e orgoglio. A giudicare almeno dal commosso intervento di Elio De Capitani. Siamo in questo venerdì 15 gennaio in un'affollata aula della Statale di Milano per presentare Amore civile, Dal diritto della tradizione al diritto della ragione, Edizioni Mimesis, a cura di Francesco Bilotta e Bruno De Filippis. Un occhio al pubblico e ci si accorge che è un tema trasversale, che interessa ragazzi e ragazze di ogni età, un po’ come alcuni giochi di società, fino a 90 anni. Il primo intervento del pomeriggio è del regista del Teatro dell’Elfo, narratore di amori altri, diversità in senso lato, sentimenti fuorilegge nel senso letterale del termine, che tuona, come da un palco, che i vissuti delle persone sono più importanti delle leggi. Ci offre in seguito, una confessione privata che fa partire la presentazione con un piglio d’ironia. “Mia madre mi voleva omosessuale. - confessa giocando e prosegue - poi l'ho rassicurata: mi piacciono le donne, quindi sono lesbico." Scherzi a parte, sembra che sia la volontà di uscire dalle categorie ristrette del pensiero e dalle gabbie delle dicotomie maschile-femminile che dà la forza al regista di impegnarsi per i matrimoni di qualunque tipo. Via via, gli interventi si fanno più seri e ragionati, fino a toccare tanti punti caldi, e colpisce che anche quelli che sembrano più lontani (pillola R.U. 486, caso Englaro, fecondazione assistita) siano invece pertinenti per sottolineare e raffigurare la realtà di una specie di Stato padre padrone, quando scrive o modifica il diritto di famiglia. Antico, austero, moralizzatore e immancabilmente a seguito di un altro Stato, quello Vaticano che fa arrancare il nostro paese rispetto ad altri europei. Il volume edito da Mimesis offre grandi spunti di riflessione. Per Domenico Rizzo è perché è un testo imperfetto nel migliore dei sensi, vivo, collettivo. La tesi di fondo è che una società capace d'amore, possa rendere le persone capaci d'amare e viceversa. Solo incidendo nei rapporti tra le persone si può cambiare qualcosa di più che una semplice faccenda privata. L'uomo, animale politico e coniugale ha bisogno di regolamentare la complementarietà, ridurre la propria complessità, avere scudi per ogni evenienza della vita, con una serie di diritti e doveri per tutte quelle che normalmente vengono chiamate pratiche famigliari. Costituite da affettività reciproca, condivisione, cura, risorse in comune, anche (con buona pace di omofobi e porporati) tra moglie e moglie e marito e marito. Sergio Rovasio introduce Marilisa D'Amico, costituzionalista, con il ricordare l'evidente negazione dei principi di uguaglianza e giustizia propria della Costituzione. Mai carta fu più esaltata e calpestata, nei metodi e nei contenuti di laicità. Un pomeriggio quindi denso di riflessioni che rimanda alla lettura attenta di questo appassionato lavoro di ricerca coinfluito nel volume collettivo Amore Civile. Un testo che farebbe riflettere chiunque su cos'è il matrimonio, e quanto i liberali siano poi così poco liberali. Giacché basterebbe accettare che la felicità di una società dipende anche dal saper accontentare e riconoscere aspirazioni individuali con i propri desideri di autorealizzazione. Due matricole in fondo all'aula si tengono la mano e ascoltano, non trattenendosi dal darsi piccoli bacetti. Per loro, la strada è tutta in salita.
(lelio semeraro, 50000neuroni@gmail.com)

La presentazione è stata organizzata da Certi diritti

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